La parrocchia ricorda per dovere e riconoscenza i propri parroci: sacerdoti, che per amore hanno offerto la vita, perché la parrocchia "avesse la Vita e la possedesse in modo abbondante".
L'elenco dei parroci di Bonferraro incomincia con l'anno 1694, quando le disposizioni del Concilio di Trento ormai sono diventate norma comune delle varie parrocchie. Sui molti e generosi predecessori la storia ha calato i lpesante sipario. Sono però noti a Dio e questo basta.
Nel 1694 la parrocchia è affidata alle cure di don Angelo Piazza. Bonferraro dopo il vuoto aperto dalla peste sta ripopolandosi.
Gli succede nel 1702 don Giovanni Antonio Malini. Durante il suo parrocchiato il paese conta 520 abitanti: tutti cristiani praticanti, fatta eccezione di uno.
La parrocchia cresce, e alla crescita demografica s'accompagna la vita religiosa anche sotto don Domenico Segala, che prende il posto di don Malini nel 1724. Il parrocchiato di don Segala va da l 1724 al 1753: 29 anni d'infesso lavoro.
Dal 1753 al 1770 governa la parrocchia don Pietro Locatelli, sacerdote tutto zelo per le anime, entusiasta per le sante funzioni, amato e seguito dalla popolazione.
Don Sebastiano Menini continua l'apostolato del predecessore dal 1770 al 1788. Durante il suo parrocchiato il campanilismo di cattiva lega accentua il distacco tra Moratica e Bonferraro: e Moratica, che ha ancora chiesa e sacerdote, nel 1784 viene elencata fra le chiese dipendenti dalla vicaria di San Pietro in Valle, ove era vicario foraneo in quel tempo don Pellegrino Manfredi.
Nel 1788 fa l'ingresso in parrocchia don Giovanni Battista Mantovani. È figlio della pianura veronese. Tarmassia gli ha dato i natali. Il suo è un parrocchiato lungo (40 anni): tutto sommosse, guerre, idee rivoluzionarie.
Nel 1828 subentra don Tommaso Magagnotti che è funestato da una serie di prove tremende. Dal giugno all'ottobre del 1839 infatti la siccità dissecca ogni raccolto, aumenta la miseria, la fame, il malcontento. Alla siccità dal 2 ottobre al 13 dicembre segue un tal diluviare d'acqua che arreca danni incalcolabili, facendo straripare il Tione, allagando la campagna. Il 5 dicembre s'aggiunge "un vento così impetuoso, che fa cadere parecchie case, già ruinate dall'acqua".
I raccolti del 1840 sono scarsissimi e la carestia ingrossa la schiera dei poveri, spinti dalla necessità a tendere la mano. Don Bortolo Vicentini di Valeggio, quando entra in Bonferraro, ha 36 anni. Ha poca salute e deve per di più fronteggiare, arginare alla meglio, incanalare opposti movimenti. Sono "i giorni del nostro riscatto". La parrocchia è percorsa da austriaci, piemontesi, modenesi, carbonari, simpatizzanti della Giovane Italia. L'intenso lavoro, minato da mille insidie, e l'insalubrità del luogo stroncano il giovane parroco, che cade sul campo a 41 anni.
Gli succede un parente: don Alfonso Vicentini e governa la parrocchia dal 1863 al 1877. Durante il suo parrocchiato viene cacciata definitivamente l'Austria dalle nostre terre; garrisce per la prima volta libero al vento il tricolore.
Il 24 giugno 1877 fa il suo ingresso don Angelo Vicentini di San Massimo.
Sul declinare del 1888 don Angelo viene promosso vicario foraneo di Illasi. Partendo passa la fiaccola al suo curato, don Domenico Brazzoli, nato a Poiano il 26 marzo 1852. Nominato parroco, impone a se stesso tanta penitenza. Si proibisce il superfluo. Talora risparmia anche lo stretto necessario ed accumula centesimo su centesimo per un sogno che è grande. Egli ferma spesso pensoso lo sguardo sulla piazza. Non vi trova un segno religioso, giacche la vecchia chiesa si S. Agata era stata degradata ad osteria. Potesse avere almeno un locale per raccogliervi l'infanzia, religiosamente e moralmente non curata com'egli vorrebbe. Il buon parroco attende e nel frattempo compera senza far chiasso due camerette a pian terreno in piazza. Nel 1909 riesce nell'intento ed esattamente domenica 24 ottobre, con una sfilata imponente dalla chiesa al nuovo asilo, con la partecipazione di molti paesi della bassa. L'opera inizia la sua benefica e cristiana attività, ma don Domenico non si ferma qui, fa appello al popolo, ed appena può compera il terreno ove ora sorge la nuova chiesa. Si dovrà attendere molto ancora, ma è chiaro che l'attesa sarà coronata dal successo. Il 16 dicembre 1926 dà ordine all'architetto Banterle di preparare il progetto. Ha già in serbo 127.000 lire: frutto d'inaudite, rigorose penitenze. L'ora sospirata del ritono della chiesa tra il popolo sembra lì lì per scoccare. Invece il 4 dicembre 1928 il parroco muore, compianto dal popolo, che sebbene nella maggioranza non praticante ha visto nella franchezza di carattere, nella povertà ed austerità di don Domenico un vero sacerdote, intermediario fra Dio e l'uomo e benefattore dell'uomo. Bonferraro conserva di don Domenico Brazzoli un ricordo, che il tempo non cancellerà, perché è stato il parroco, che ha sentito urgente la necessità della nuova chesa ed ha fatto della vita un'ininterrotta privazione per realizzare il sogno vagheggiato a bene delle anime, a decoro del paese.
Sulla fine del 1929 gli succede, dopo un anno di vacanza, don Luigi Rossignoli, il quale riceve in donazione da Zanca Enrico altri 1.500 metri quadrati di terra da aggiungere a quella comperata da don Domenico Brazzoli. La malferma salute gli sconsiglia d'affrontare l'impresa e perciò chiede ai superiori d'essere trasferito. Il 20 settembre 1937 lascia Bonferraro per Rivoltella.
Il lungo, rigido inverno religioso di Bonferraro termina il 29 settembre 1937 con l'ingresso privato in parrocchia del nuovo parroco: don Giovanni Benedini. Un sacerdote piccolo di statura, ma dalla fede grande, dal cuore d'apostolo, dal carattere adamantino, dalla costanza tutta prova. Quando entra in parrocchia ha 38 anni ed è forte della felice esperienza di Cazzano, ov'è stato per 5 anni vicario cooperatore, e di Selva di Progno, ove ha fatto il parroco per 8 anni. Il vescovo, mons. Girolamo Cardinale, congedandolo prima dell'ingresso privato, gli dice: "Và e fà subito; altrimenti rischierai di non far più!". Don Benedini viene a Bonferraro con il preciso incarico di costruire la chiesa nel centro del paese, perché sia vita e guida del popolo. Nel 1938 un nuovo progetto, affidato per interessamento di mons. Timoteo Lugoboni, rettore del seminario, all'architetto Domenico Rupolo, già sovraintendente delle Belle Arti di Venezia. Il 10 aprile 1939 si tracciano le fondamenta. Il 4 maggio il vescovo scende a Bonferraro per la posa della prima pietra. Nei giorni precedenti la grande data aveva piovuto a dirotto. La mattina del 4 maggio invece il cielo splende di luce e di gioia, augurio promettente d'una nuova stagione spirituale prospera.
I buoni fondono insieme i singoli sforzi e la mattina del 18 settembre 1940 il vescovo, circondato da tutto il popolo in festa, pur venata di trepidazione, consacra la nuova chiesa a Dio e la dedica a Maria Santissima ed a San Giuseppe. Ma arriva la guerra che passa lenta, terribile, seminando morte e distruzione. Nell'immediato dopoguerra lo zelante arciprete vorrebbe riprendere i lavori. La pratica e la sensibilità pastorale gli impongono però la costruzione del teatro per arginare con un ambiente sano e moderno la frenesìa festaiola che ha invaso la popolazione. Il papà e lo zio del parroco, Benedini Amadio e Domiziano, gli offrono il denaro ed il teatro in poco tempo è una seconda grande realizzazione. Poi ogni anno, con ritmo regolare, un lavoro di completamento: il classico battere della goccia, che arriva allo scopo. Nel 1961 don Giovanni vede realizzato a pieno il sogno: la chiesa viene soffittata, decorata ed arricchita di dignitoso pavimento.
Bonferraro dopo tanti anni di fatiche è trasformato. La sua nuova primavera è ricca di promesse. Il Signore le benedica e faccia maturare abbondanti frutti.
(tratto da "Bonferraro e la sua storia" di Giovanni Cappelletti, 1962) |