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Una storia che ci onora

L'ha scritto Napoleone nella serenità meditativa di Sant'Elena: " il Clero Cattolico presiedette alla formazione della società europea e ciò che vi ha di meglio nella società deriva dal Sacerdozio Cattolico". La storia dei continenti, delle nazioni, delle città, dei minuscoli paesi dà ragione all'affermazione del grande generale.

Non si conosce il nome del primo apostolo di Bonferraro e s'ignora pertanto quando sia arrivato il Cristianesimo quaggiù. La prima notizia di carattere religioso è quella della donazione di alcuni campi di terra, posti in via Moratica, da Carlo il Grosso ai Monaci Benedettini. Il fatto risale al 15 giugno 883. L'autorità politica chiede aiuto e collaborazione alla Religione, già presente in paese, concedendo dei benefici, ed i Benedettini costruiscono tosto in via Moratica una chiesa, dedicata a San Pietro, ed un monastero.

La chiesa, perché Iddio abiti con il popolo di Dio.

Il monastero, perché sia centro di vita e di luce; seminario di nuovi apostoli; cantiere d'ogni attività; palestra del sapere; asilo sicuro degli ammalati; sede di apprendistato agricolo, artigianale, meccanico.

Da allora - ma certo anche da prima - la Chiesa non ha mai abbandonato il popolo di Bonferraro sia nei giorni di pace come in quelli di guerra, di strage, di pestilenza. Anzi, i Benedettini di via Moratica per assistere più assiduamente i lavoratori dei campi e per aiutarli a far sì che il lavoro profumasse anche di preghiera erigono una cappella là in mezzo alla campagna, in via Merlongola. Così mantengono fede al glorioso motto "Ora et Labora" spronando il popolo a non distinguere le due vitali azioni, se si vuole che il Cielo assista e benedica.

Oltre il Tione, al di là del castello fortezza, ove ora sorge il centro del paese, i Benedettini costruiscono un'altra chiesa, dedicandola a Sant'Agata, e un altro monastero. Oh, non per capriccio...le frequenti lotte politiche dividono troppo spesso ed a lungo, in modo invalicabile le due parti del paese.

L'amore non permette nelle ore difficili l'abbandono, comanda la presenza.

E poiché il monaco non è un mercenario, ma un pastore ecco il perché della nuova chiesa e del nuovo monastero a così breve distanza. E piantata nei campi, con la porta aperta ai lavoratori, perché lo spirito a contatto con la terra non ne soffra danno, perché il lavoro sia benedetto da Dio, ecco un'altra chiesa, quella che il sopruso della forza farà diventare un giorno la chiesa parrocchiale.

Le vigili attenzioni dei monaci non trascurano alcuna categoria. Raccolgono l'infanzia; istruiscono la gioventù nelle cose della fede e del sapere; soccorrono i poveri; provvedono agli ammalati; assistono ed indirizzano i lavoratori; proteggono la mano d'opera ed i prodotti del lavoro con le corporazioni, nelle quali gli operai si sentono protetti ed educati tecnicamente, giuridicamente, spiritualmente. Uniscono la popolazione, dispersa in tanti poveri casolari in Famiglia; la totalità nell'unità di spirito, di cuore, di mente, di braccia. L'offerta generosa, integrale del messaggio cristiano a quella popolazione senza capi, abbandonata da tutti, spesso provata ed afflitta da guerre senza ragione e da scorrerie piratesche, conquista l'ambiente.

Lo constata con piacere in occasione della visita pastorale, fatta il 27 aprile 1712, il Vescovo di Verona, Mons. Giovanni Francesco Barbarigo (1697-1714). Bonferraro è già parrocchia con il "rector" dal 1530 e in quella visita dei suoi 520 parrocchiani uno solo non s'accosta alla Comunione.


I conti Emilei padroni di Fattolè e delle Zucche, erigono ad imitazione dei monaci una chiesetta padronale in mezzo ai loro vasti possedimenti e la dedicano al Redentore. Ma un giorno triste le forze militari di Napoleone cacciano i monaci da Bonferraro, abbattono la chiesa di San Pietro in via Moratica, riducono ad abitazione civile quella di Sant'Agata, cambiano in fienile e stalla la Cappella di via Merlongola e lasciano aperta al culto per le donnette e i grulli la chiesa, che sarà denominata di Santa Maria Vecchia insieme con la chiesetta padronale dei conti Emilei munifici ospiti dell'imperatore in Verona.

Una gandinata non avrebbe fatto peggio. Togliere dalla società i medici equivale a veder deperire la salute pubblica.


(tratto da "Bonferraro e la sua storia" di Giovanni Cappelletti, 1962)

 
 

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